Gaetano Quagliariello e i servizi segreti

Gaetano Quagliariello e i servizi segreti

[...] Non sono più le sciabole incrociate degli ultimi giorni ma il conflitto è ancora aperto. Il "falco" finiano, Carmelo Briguglio tre giorni fa ha attaccato Il Giornale (che ha avviato l'inchiesta sulla casa di Montecarlo della quale, accusa il deputato di Fli, si occupa una firma "che contiene il cognome di un noto direttore dei servizi segreti". Coincidenza, omonimia o parentela?") e parlato di "pezzi deviati dei Servizi" che avrebbero spiato gli uomini vicini al presidente della Camera (Gianfranco Fini). Ieri, il vicecapogruppo dei senatori Pdl, Gaetano Quagliarello, ha ribattuto: "Si può anche non gradire o non apprezzare un'inchiesta giornalistica, ma "buttarla in caciara" confondendo le carte non è un comportamento serio. Se Briguglio ha altre informazioni le comunichi al Copasir. In caso contrario sottragga la sua voce al coro dei professionisti del depistaggio".
Risponde Briguglio: "Ho parlato a lungo al Copasir in merito a deviazioni di pezzi dei Servizi e, di recente, anche di preoccupanti anomalie in merito alla permanenza nei Servizi di uomini dell'intelligence inquisiti per reati gravissimi".

Mauro Favale, La Repubblica (13/08/2010)

martedì 28 gennaio 2014

Il caso Filippo Sindoni: “Non si parli di vendetta” di Enrico De Simone, "La Voce d'Italia" - Caracas

CARACAS – “Nemici? Fu per 22 anni presidente di Casa Italia Maracay, ha speso tesori assistendo i più sfortunati, in particolar modo gli italiani. E’ arrivato perfino a pagare le cure in Italia a chi non se lo poteva permettere”. Mario Martinelli, stretto collaboratore di Filippo Sindoni, neanche vuol sentir parlare di una vendetta verso chi, dal nulla, ha creato un impero economico capace di “dare lavoro a mezzo stato Aragua”.


Sta agli investigatori stabilire perché l’imprenditore italiano conosciuto come “il re della pasta” sia stato ucciso, dopo appena tre ore dal suo sequestro, avvenuto verso le otto di sera di martedì a Maracay. La morte di Sindoni risalirebbe alle 23.30 di quello stesso giorno. I killer si sono accaniti su di lui, con spietata ferocia. Lo hanno imbavagliato, bendato, gli hanno legato polsi e piedi con nastro adesivo. Poi lo hanno picchiato selvaggiamente, torturato con tagli in tutto il corpo e, alla fine, il colpo di grazia con un colpo di pistola alla testa che lo ha trapassato da una tempia all’altra. “Abbiamo trovato persino il segno di due forti morsicature alle gambe – ha riferito ai giornalisti il procuratore generale Isaías Rodríguez. Pur non scartando alcun movente, Rodríguez giudica poco probabile l’ipotesi del sequestro: “I fatti si sono svolti in modo troppo rapido e violento. Se è stato davvero un sequestro, allora è stato un sequestro mal eseguito da parte di dilettanti. Noi stiamo lavorando su tutte le ipotesi, senza tralasciare alcuno scenario”. 

Filippo Sindoni


Sul fronte delle indagini, l’alto magistrato ha reso noto che sono nelle mani degli inquirenti il veicolo su cui viaggiava Sindoni al momento del sequestro, una Honda Accord, e tre identikit realizzati sulla base dei dati forniti da Jesús Soto, l’autista di Sindoni, l’unico testimone del sequestro e, in quanto tale, da ieri sottoposto a vigilanza speciale. L’industriale è stato rapito da alcuni uomini vestiti da poliziotti che hanno simulato un posto di blocco. L’ipotesi che quegli uomini – quattro in tutto – fossero dei veri agenti non è stata affatto scartata. Rodríguez ha reso noto che già nella serata di martedì aveva richiesto al ministro degli Interni, Jesse Chacón, il permesso di inviare una commissione d’indagine interna da Caracas alla polizia regionale di Aragua, affinché non fossero trascurate le verifiche del caso. Infine, un pensiero di cordoglio in memoria del defunto: “Filippo era un grande amico, una persona a me molto vicina, con la quale ho condiviso, nel tempo, tanti affetti”. Anche per questo, ha aggiunto, mi impegno a scovare e punire i responsabili.

Le spoglie di Filippo Sindoni saranno conservate fino a oggi in una camera ardente allestita presso la Casa d’Italia Maracay. Questo pomeriggio, alle ore 16, il vescovo della città, monsignor Del Prete, pronuncerà un’omelia in memoria del defunto. Probabilmente già domani i resti dell’imprenditore prenderanno il volo per l’Italia, dove saranno tumulati a Capo d’Orlando, nel messinese, il paese che, quasi 75 anni fa, gli diede i natali.
Pubblicato il 30 marzo 2006 da Enrico De Simone - 31/3/06

mercoledì 22 gennaio 2014

Intervista a Gianni Cappelin - Il Giornale, organo di propaganda del piduista Berlusconi | Filippo Sindoni


Quel paio di cose che so sul caso Sindoni

Lì per lì Gianni Cappellin, risvegliato di soprassalto, non capì che l'aggressore gli stava già tagliando la gola a punta 'e cuchillo, a punta di coltello, con un solo movimento dal basso verso l'alto, come si fa con i merluzzi. «Non riuscivo a respirare. Pensavo che l'energumeno mi stesse soffocando premendomi il gomito sul collo. Urlavo per svegliare Claudia, ma non udivo la mia voce. Per forza: l'aria dei polmoni usciva dalla trachea già squarciata». L'ultimo fiato fu per un'implorazione muta: «Signore Iddio, aiutami ti prego, dammi la forza di reagire». Il morituro non poteva sapere che a segargli la gola era Jesus Maria Peña, detto Chuo, di anni 30, pescatore dell'isola di Margarita. Jesus lo stava uccidendo, Gesù lo stava salvando.
I merluzzi, quando li sgozzi, non perdono sangue. Gli uomini sì. «Ho scoperto in quell'istante che il sangue è uno straordinario lubrificante. Infatti la mano destra dell'assalitore perse la presa sul coltello. Io gli morsicai la sinistra con cui mi tappava la bocca e riuscii, non so come, a togliermi la lama conficcata nella laringe». Disorientato dall'inaspettata reazione, il malvivente mollò la presa e fuggì. Cappellin ebbe il tempo per una seconda invocazione: «Dio, fa' che mia figlia non mi veda morire così».
Arrivato a questo punto del racconto, il redivivo comincia, senza accorgersene, a sbattere a intermittenza le palpebre in modo parossistico. È come se cercasse di non riguardare il film della sua fine imminente. Già gli tocca rivederlo in sogno quasi ogni notte. È la moglie Lidia ad accorgersi per prima dell'incubo: «All'improvviso il letto comincia a tremare. Accendo la luce e vedo il suo corpo che sussulta, su e giù, su e giù». Al mattino lui si ricorda solo che lo stavano scannando per poi violentargli la figlia e farle fare la sua stessa fine. Che è esattamente quanto stava per capitargli all'una di notte di quel 25 luglio 2011.
Gianni Cappellin credeva di morire sulla Coral Queen, la sua barca d'altura ancorata al largo dell'isola della Tortuga, paradiso terrestre a 48 miglia alla costa del Venezuela. «Dieci ore di dissanguamento prima che un elicottero di fabbricazione russa della Protezione civile venezuelana mi aviotrasportasse alla clinica privata San Roman. Fossi finito in un ospedale pubblico di Caracas, dove manca persino il filo da sutura, addio». Invece è ancora qui. Sul collo ha una cicatrice di almeno 20 centimetri, quasi da un orecchio all'altro, che ha già richiesto un primo intervento di chirurgia plastica. Se ancora vive, è solo perché il coltellaccio di Jesus detto Chuo - che lui non ha timore di chiamare «il negro» per distinguerlo etnicamente dal complice, «l'indio», mai assicurato alla giustizia - gli lacerò sì il 45 per cento della trachea ma fu fermato miracolosamente a due millimetri dalla carotide e a uno dalla giugulare. «Mezzo chilo di pressione in più, mi ha spiegato il chirurgo, e oggi non sarei qui a parlarne».
Non s'è limitato a parlarne. Ha anche scritto un memoriale di 256 pagine, L'uomo di sale (Mauro Pagliai editore). «Per non finire in manicomio. Me l'ha consigliato la psichiatra che mi seguiva durante la riabilitazione. Ha idea di che cosa significhi vivere per due mesi con un tracheostomo, in attesa che ricrescano i tessuti del collo? È una sensazione continua di soffocamento, di morte imminente, che non augurerei neppure a un animale». Il titolo del libro ha una duplice spiegazione. «A tentare di uccidermi è stato un uomo bruciato dalla salsedine del mare, figlio, come avrei scoperto dopo l'arresto, di una famiglia di pescatori che conoscevo da lungo tempo. Ma si chiama L'uomo di sale anche un quadro del pittore Ender Cepeda, che acquistai 20 anni fa. Quando mia figlia Claudia tornava dall'asilo, lo additava: “Papà!”. Ebbene, solo al mio ritorno dall'ospedale mi sono accorto che quella figura ha il collo attraversato da un taglio rosso identico al mio. Gli amici adesso mi sconsigliano di tenerlo in casa: “Gianni, brucialo! È come il ritratto di Dorian Gray».
L'autore ha dedicato il libro alla memoria dei 19.216 venezuelani che nel 2011, come ogni anno, sono stati ammazzati. Muertos de balas, morti di pallottole, o machetados, fatti a pezzi col machete. Dai 50 agli 80 assassinati ogni fine settimana nella sola Caracas, una delle città più violente al mondo. «Ormai i giornali non pubblicano nemmeno più le notizie: solo gli elenchi forniti dagli obitori. Alle 21.30 scatta un tacito coprifuoco e 2 milioni di auto spariscono dalle strade. Il 98 per cento dei delitti resta senza colpevoli. L'impunità dei criminali è l'unico successo che si può ascrivere a quel Gheddafi tropicale che fu il comandante Hugo Chávez. “Ser rico es malo”, essere ricchi è male, predicava. Questi sono i risultati. I ricchi vanno uccisi perché sono cattivi».
Di famiglia veneziana ma nato nel 1957 a Milano, dove s'è laureato con 110 alla Bocconi, Cappellin vive dal 1976 nella capitale del Venezuela, dove ha fondato la Alnova, una società di import-export con 200 dipendenti e 20 milioni di dollari di fatturato annuo. In un Paese dove la benzina costa molto meno dell'acqua (un centesimo di dollaro al litro, cioè 19 delle vecchie lire italiane), ha pensato bene di diventare esclusivista di marche famose nel ramo vini e alcolici, fra cui Heineken, Campari e Cinzano. È uno dei 180.000, su circa un milione di connazionali trasferitisi laggiù, che vuole mantenere la cittadinanza d'origine.
Perché è finito in Venezuela?
«Ci andò per primo nel dopoguerra mio zio Paolo, sarto, che oggi ha 94 anni e durante il periodo coloniale aveva aperto ad Addis Abeba il più grande emporio dell'Etiopia. Era convinto che i russi avrebbero invaso il nostro Paese. Poi fu la volta di mio padre Ferruccio: insieme allo zio commerciava macchinari per le industrie. Io seguii il loro esempio perché mi rendevo conto che nell'Italia post sessantottina, fra contestazioni e scioperi, era impossibile fare gli imprenditori».
Meglio importare champagne in Sudamerica.
«In realtà all'inizio eravamo rappresentanti dei sottaceti Ponti e della Bonduelle. Ma nel 1982 il presidente Luís Herrera Campíns cambiò in appena tre settimane le regole del gioco, proibendo le importazioni di prodotti alimentari. Così ci buttammo sugli alcolici».
Sua moglie è italiana?
«Nata da italiani in Venezuela. Di cognome fa Bruttini. Il nonno materno, Irmene Milani, bolognese, fondò nel 1932 il primo pastificio del Sudamerica».
Avevate già avuto nel 1995 un esempio di quanto a Caracas la vita umana non valga nulla.
«Sì, ci entrarono in casa di notte in tre. Anche quella volta mi ritrovai con un coltello alla gola e la canna di una pistola premuta sulla fronte. Mia moglie fu selvaggiamente picchiata. Minacciavano di violentare Claudia, che aveva appena 3 anni. Da allora giurai a me stesso che non mi sarei più fatto cogliere alla sprovvista: meglio morto che sottomesso».
Nel 2011 c'è andato vicino.
«Ho trovato la forza di reagire, nonostante nella colluttazione per estrarmi il coltello dalla gola mi sia ritrovato anche col pollice destro tranciato a metà, l'indice sinistro scoperchiato, i tendini recisi. Quel maledetto 25 luglio mia figlia era rientrata in Venezuela da appena un giorno. Aveva finito l'anno accademico alla Cattolica di Milano, dove poi si sarebbe laureata in economia. Decisi di portarla in gita alla Tortuga. Lì siamo di casa da 25 anni. Mia moglie era rimasta in Italia a curarsi dopo un infarto. Dai nostri aggressori avevo comprato cinque aragoste appena pescate. Li conoscevo di vista. Avrei dovuto intuire da un loro commento su quanto si fosse fatta carina mia figlia qual era il loro piano: salire a bordo di notte, ammazzarmi, stuprarla e infine tagliare il collo anche a lei. Invece la mia supplica a Dio trovò ascolto, perché Claudia nell'oscurità riuscì a mettersi in salvo sgusciando fuori dalla cabina e rimanendo aggrappata al corrimano esterno della barca fino a quando i banditi non si furono dileguati in mare».
Da chi fu salvato?
«Devo la vita a Richard, un inglese di cui non ho mai saputo neppure il cognome, uno skipper somigliante a Rambo. Con la sua compagna, era diretto in Oceania su un veliero. Ha soccorso Claudia che, coperta di sangue e disperata, era andata in gommone a chiedere aiuto ai proprietari di vari yacht ormeggiati in zona. Tutti l'avevano scacciata. Uno, infastidito, la rimproverò persino d'avergli svegliato i bambini con le sue urla. Solo Richard ebbe il coraggio di salire a bordo e di lanciare l'allarme. Poi arrivarono anche due italiani, Guido Cavalli e Marco Calosso. Tutt'e tre, vedendo com'ero conciato, diedero di stomaco. Io, con la carotide mozzata, mi sentivo in procinto di morire».
Però pregava che ciò non accadesse sotto gli occhi di sua figlia.
«Ero entrato in una calma serafica. Avevo fatto tutto il mio dovere di padre: a Claudia non era stato torto neppure un capello. Non è vero, come dicono, che in quegli attimi ti passi l'intera vita davanti agli occhi. A me l'unica cosa che rimbombava nella testa era La guerra di Piero di Fabrizio De André: “Ninetta bella, dritto all'inferno, avrei preferito andarci d'inverno”. Pensavo: ma guarda te se devo morire alla Tortuga sgozzato come un maiale da una testa di cazzo!».
Che fine ha fatto il killer mancato?
«È in galera in attesa di giudizio. Fu beccato a novembre. Confessò subito. Per scoprirne l'identità dovetti assoldare un avvocato d'origine irlandese, Desmond Dillon, che è il miglior penalista di Caracas, e pagarmi i detective privati».
I poliziotti non fecero nulla?
«Non ero morto. Sono straniero. Non si stanziano milioni di dollari per uno che non si chiama nemmeno Missoni. Né si mobilita l'unità di crisi della Farnesina. Quanto all'ambasciata italiana a Caracas, non ha mosso un dito. Era solo capace di chiedermi i vini gratis per i ricevimenti. Ho smesso di mandarglieli».
Da allora com'è la sua vita?
«Il sonno s'è fatto più leggero. Mi rivedo in barca, sottomesso e impotente, ridotto a una cosa in mano ad altri».
Che precauzioni ha preso?
«Vado al lavoro con l'auto blindata. La casa ha una recinzione con la corrente elettrica. Dormiamo in una cassaforte, con la pistola sotto il cuscino».
Tutto inutile. Se uno vuole entrarti in casa, ci entra.
«A Milano mi sento in vacanza: respiro, posso girare a piedi. A Caracas ogni tassista è un potenziale rapitore. Li chiamano sequestri express, durano dalle 6 alle 12 ore, i familiari devono improvvisare una colletta fra gli amici per mettere insieme 10.000 o 15.000 dollari necessari a riscattare l'ostaggio. Alcuni miei dirigenti ne sono rimasti vittime».
Perché non torna a vivere in Italia?
«Non posso. Lei si metterà a ridere, ma ho un dovere sociale verso le 200 famiglie che dipendono da me. Quattordici anni di chavismo hanno smantellato l'apparato produttivo a favore di un'economia controllata dallo Stato marxista. Il Venezuela era autosufficiente per la carne ed esportava le eccedenze agricole: oggi importa il 60 per cento di tutto, con tangenti del 40 per cento su ogni prodotto. L'unico commercio redditizio è quello dei dollari, che al cambio in nero con i bolívares valgono cinque volte più della quotazione ufficiale».
Perché gli Stati Uniti, che liquidarono Salvador Allende in Cile, hanno tollerato invece un amico di Mahmoud Ahmadinejad in Venezuela?
«Chávez era più bravo di Benito Mussolini. Un incantatore di serpenti. Se fosse andato a intervistarlo, il dittatore si sarebbe prima fatto preparare una scheda su di lei e l'avrebbe ammaliata parlandole della storia della famiglia Lorenzetto. Con la sua democratura, incrocio fra democrazia e dittatura, per i petrolieri era il partner ideale. Blaterava contro gli americani, ma non ha mai smesso di vendergli il milione quotidiano di barili che loro si aspettavano. Il Venezuela il petrolio lo regala: a Cuba, al Nicaragua, alla Bolivia. Chávez firmò un contratto con la Cina che impegna il governo di Caracas a cedere a Pechino fino al 2025 un milione di tonnellate giornaliere a metà del prezzo di mercato. Siamo alla follia: le due più grandi raffinerie sono scoppiate per mancanza di manutenzione e oggi dobbiamo importare la benzina dal Brasile e dagli Usa».
Chi è l'italo-venezuelano più ricco?
«L'hanno rapito e ammazzato nel 2006. Si chiamava Filippo Sindoni, imprenditore di origine siciliana che comprò da noi i macchinari per il suo pastificio».
Quale insegnamento ha tratto dalla tragedia che le è capitata?
«I buoni non vincono mai. Al massimo pareggiano».



stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

lunedì 20 gennaio 2014

Ucciso Filippo Sindoni | La Voce d'Italia - Enrico De Simone

CARACAS 29 marzo 2006 – Il corpo senza vita di Filippo Sindoni, l’industriale aragueño rapito a Maracay nella serata di martedì da due falsi poliziotti, è stato ritrovato nel tardo pomeriggio di ieri nel settore Los Arenales del municipio Torbes, nello stato Lara, abbandonato sul ciglio della strada che unisce Barquisimeto e Carora. Presentava due ferite d’arma da fuoco. La notizia è stata confermata ufficialmente dal commissario capo del Cicpc Lisandro Zapata. Al momento, ha detto Zapata, si indaga a 360 gradi, senza escludere alcun movente: sequestro, delitto su commissione, vendetta. Un testimone, ha aggiunto, sta collaborando con gli investigatori.


Si è chiusa così nel peggiore dei modi una vicenda iniziata nella serata di martedì, quando verso le otto di sera Filippo Sindoni, cavaliere del lavoro della Repubblica italiana e stella di primo piano del panorama imprenditoriale venezolano, veniva rapito fermandosi a un falso posto di blocco. Due uomini travestiti da poliziotti lo portavano via, dopo aver stordito con un colpo alla testa e poi abbandonato il suo autista-guardia del corpo.


Ieri mattina, in una riunione tra familiari e amici dell’imprenditore, si stabiliva la linea da seguire: riserbo assoluto su quanto accaduto, nel solco di quanto fatto da altre famiglie colpiti dalla piaga dei sequestri di persona. Solo che, in questo caso, non è affatto detto che si sia trattato di un sequestro a scopo di estorsione, come già sottolineato dal commissario Zapata. L’unica cosa certa è che, una volta di più, brilla l’insicurezza in cui è sprofondato il Venezuela. Venire rapiti a un posto di blocco della polizia o supposto tale è già accaduto, lo scorso 23 febbraio, a Caracas, ai fratelli Faddul, tre giovani (12, 13 e 17 anni di età) di origine libanese. E sono stati uomini vestiti da poliziotto a rapire, lo scorso novembre a Ciudad Bolívar, l’italovenezolana Paola Fiorella Carlesi D’Amico, liberata dopo 21 giorni passati in una prigione che non era altro che un buco scavato nella terra. Resta poi tutto da definire il ruolo avuto da elementi della polizia dello Zulia nel sequestro e uccisione di Rosina Di Brino, la 22enne italovenezolana trovata cadavere nel Lago di Maracaibo il 22 febbraio.

Filippo Sindoni
Ieri mattina abbiamo parlato con rappresentanti dell’ambasciata italiana, mobilitata in tutti i suoi organismi per l’improvvisa crisi costituita dal rapimento di “un grandissimo personaggio non solo della comunità italiana, ma di tutta la realtà venezolana”, per citare le stesse fonti diplomatiche. L’ambasciata si era premurata persino di avvertire il presidente Hugo Chávez, che certo era informato del fatto; in ogni caso una cortesia dovuta, visto che Chávez e Sindoni erano amici sin da quando quello che poi sarebbe diventato il “Primer Mandatario” era un ufficiale dell’esercito di stanza a Maracay. In merito alle indagini le bocche erano assolutamente cucite, una cosa però è trapelata: l’intenzione di organizzare un incontro con il ministro degli Interni, Jesse Chacón, proprio per affrontare la questione dei sequestri e, più in generale, dell’ordine pubblico. Oggi più di ieri, crediamo che ce ne sia proprio bisogno. 

domenica 19 gennaio 2014

Los escualidos: media e manipolazione | Anna Grazia Greco e la cricca Codazzi

Los escualidos, opposizione imperialista al governo Chavéz, dispongono di grandi risorse economiche e sono presenti su diversi media del Paese, dalla Tv alla radio, da internet ai quotidiani. Il colonialismo culturale, infatti, rappresenta una fetta importante della politica estera americana. I format televisivi e gli articoli sono ovunque gli stessi. 
Per farsene un'idea basta visionare i media che fanno capo al noto piduista Silvio Berlusconi, l'amerikano.

El caballero escualido, Marino Marini
Los escualidos infatti hanno tante disponibilità ma poca fantasia: sono ripetitivi fino alla noia. Ora, tra quella gentaglia per cui ho lavorato a Caracas, i rappresentanti della Giunta Direttiva del Codazzi, c'era un'alta concentrazione di escualidos. Squallidi e mariuoli. Per quanto molti di essi ostentassero ammirazione per Hugo Chavéz, erano di fatto legati mani e piedi all'opposizione imperialista. Qualcuno vantava anche una rete televisiva facente capo al network de los escualidos
Un vero e proprio branco di chiaviche!
Questo spiega come mai, nonostante la continua ostentazione di beni materiali: auto, abiti, e l'apparente internazionalismo, quella gentaglia vivesse praticamente reclusa dentro ville-bunker, inaccessibili luoghi di lavoro ed esclusivi club tematici... In sostanza, le loro infami vite all'apparenza così brillanti, si svolgevano tra una cerchia molto striminzita di persone a loro simili: la minoranza infame.
In realtà, queste osservazioni sugli affiliati dell'ACE "Agustin Codazzi" di Caracas sono la calzante metafora di tutti los escualidos del mondo: polli di batteria che si credono albatros.

Los escualidos della cricca Codazzi mal gestiti da Anna Grazia Greco

sabato 18 gennaio 2014

Los escualidos del Codazzi e l'emergenza sanitaria in Venezuela | Agustin Codazzi - Anna Grazia Greco

Caracas, gennaio 2005 - Poco tempo dopo, alcuni organi d'informazione di stampo imperialista, che lì a Caracas erano all'opposizione sotto il nome di los escualidos, hanno cominciato a tambureggiare sui media nientemeno che un'emergenza sanitaria a livello nazionale. Una roba fantascientifica. E molto casualmente, quando mi sono ripreso dal pernicioso avvelenamento, nella clinica dell'azienda sanitaria Sanitas, hanno provato a convincermi che avevo avuto un dengue emorragico. Al momento sono anche riusciti a farmelo credere, tanto che cominciavo a convincermi che quell'emergenza sanitaria esistesse davvero. Emergenza dengue, dunque.

Paolo Scartozzoni, funzionario Mae in visita a Caracas
Il contratto con la Sanitas l'avevo firmato dietro indicazione della "Giunta Direttiva" del Codazzi ed è anche l'unico contratto legale che possa vantare dopo ben 2 anni di lavoro con quella gentaglia. Si noti bene: convocato dal Ministero degli Esteri, tramite Anna Grazia Greco, che aveva preso il posto del dirigente Bruno Teodori.
Avevo dimenticato di aggiungere che, nel dicembre 2004, mentre stavo morendo, scaduto il visto turistico, ero diventato anche clandestino. Il che all'atto pratico vuol dire che un qualsiasi figlio di puttana, tipo quel cornuto dell'attuale capo della "Giunta Direttiva" del Codazzi, Adriano Giovenco, avrebbe tranquillamente potuto affermare che "loro" a me non mi conoscevano, dunque io ero andato fin lì per sport... 

Queste non sono speculazioni, né dietrologia, ma la banalissima realtà dei fatti. Nel 2006, infatti, in un tribunale, quei quattro cornuti hanno fatto queste precise affermazioni. False. Con la piccola differenza che, essendo sopravvissuto, li ho potuti non solo contraddire, ma anche sputtanare con le loro stesse menzogne (quei gran figli di troia). Punto.


Ule, Escuela Agustin Codazzi Caracas - stencil art 2006

venerdì 17 gennaio 2014

L'anfitriona del Codazzi: Enza Mejias, napoletana, amica di Minerva Valletta | Scene da un matrimonio

Nell'ottobre 2005 fui invitato al matrimonio di un conoscente italiano. La cerimonia si teneva nella regione di El Vighia, Venezuela nordoccidentale, al confine con la Colombia.

Avevo acquistato da pochi mesi la fotocamera digitale e scattai foto al lieto evento.


Quando ho rivisto quelle immagini, mi ha colpito la costante di espressioni guardinghe e immusonite che a suo tempo non avevo notato.





Aspetto degno di nota è che io, fino all'ultimo momento, ero incerto se andare o meno a quel matrimonio: si trattava di fare un lungo viaggioe in quel periodo non mi andava di muovermi.
Fu Enza Mejias, l'anfitriona del Codazzi, a convincermi ad andare: "...è un tuo amico!", mi disse. Non era vero, era un collega e non un amico. 
A proposito di amici, Enza Mejias era una grande amica di Minerva Valletta.

Minerva Valletta, moglie del signor Bagordo, autista dell'Ambasciata d'Italia a Caracas
Qui sopra, immortalata, Minerva Valletta, si crede fuori dalla portata dell'obiettivo... Direi che la foto è molto esplicativa del personaggio in questione. Non c'è bisogno di aggiungere altro.

Tornando alla Mejias, da buona anfitriona, nonché segretaria  per l'associazione di delinquenti patentati "Agustin Codazzi", Enza organizzò lì per lì una colletta per l'ex collega che si sposava, con tanto di teatrino: non c'era dubbio, era un talento nel suo genere. "Portaglieli con i nostri auguri", mi disse più o meno, consegnandomi i soldi alla fine della recita.

Enza Mejias, napoletana - Escuela Agustin Codazzi, Caracas
Cosicché, con la benedizione di Enza Mejias, la segretaria napoletana della scuola "Agustin Codazzi" di Caracas,  onorata associazione culturale senza scopo di lucro, epperò, con conto cifrato su banca svizzera, Credite Suisse, filiale di Lugano, andai a El Vigia...

Enza Mejias, segretaria anfitriona - Escuela Agustin Codazzi Caracas

Adesso provate ad osservare le due foto scattate in sequenza (sopra) ad Enza Mejias due settimane circa dopo quel matrimonio. 
  1. La prima foto l'ha colta di sorpresa, non ha avuto il tempo di trovare un diversivo e si vede: è piuttosto seccata ma non vuole manifestarlo
  2. Qualcuno l'ha chiamata al telefono (qualcuno della Giunta del Codazzi che sta all'altro lato della segreteria, in una stanza di vetrate coperte da pesanti tende marroni). Notate l'espressione e la gestualità di Enza al telefono, l'antropologo direbbe che sta marcando il territorio
  3. A questo punto osservate le foto in basso. Notate niente?
 










giovedì 16 gennaio 2014

Burundanga - Anna Grazia Greco & Minerva Valletta | Noto piduista al governo: Silvio Berlusconi l'amerikano

La mia collega al Codazzi, M, era una vera donna di mondo: viveva a casa lo stretto necessario, passando il resto del tempo in giro.

Fin dal suo arrivo a Caracas, nel febbraio 2005, era stata presa in consegna dalla dirigente, Anna Grazia Greco, di cui sembrava essere la dama di compagnia e da Minerva Valletta che nel primo mese di permanenza a Caracas mise a disposizione di M la casa dei propri genitori (o dei suoceri, non ricordo), senza chiedere neanche un minimo di affitto (il tempo per far trovare un appartamento a Piero Armenti, ovvero un appartamento da condividere con M, come si vedrà in seguito). 
Ovviamente M era una persona con la coscienza a posto, integra e leale; talmente socievole che parlava e frequentava tutti, dal delinquente di quartiere al diplomatico d'ambasciata. Era, come avrebbe detto Kipling, capace di parlare con il ladro e con il re. Per questo motivo rappresentava, a sua insaputa, un formidabile megafono per chi avesse voluto attingere ad un certo tipo di informazioni. A volte la prendevo in giro per le sue frequentazioni, per lo più gente che non mi andava a genio. Non mettevo in dubbio la sua buona fede, ma avevo il sentore che la sua mondanità potesse essere sfruttata per carpirle informazioni, per esempio sulle mosse che prendemmo durante il secondo anno scolastico (2005/2006) per contrastare le infami decisioni di quei pezzenti della Giunta del Codazzi. Così a volte mi informavo per verificare se qualcuno approfittasse di lei... 
Una volta, era presente una nostra conoscente, Daniela, avevo chiesto a M se Minerva Valletta, della giunta del Codazzi (moglie del signor Bagordo, autista all'Ambasciata italiana di Caracas) una che con lei faceva l'amica, avesse fatto domande su di me. M. rispose che se anche ne avesse fatte, lei avrebbe saputo come dribblarle. In quel momento si intromise Daniela, dicendo che se volevano farla parlare, l'avrebbero fatto, suo malgrado. La risposta spiazzò M, e, devo dire, anche me, ma la trovai più sensata di quanto le fosse consentito. Daniela sapeva quel che diceva perché, nonostante fosse poco affidabile, aveva esperienza di queste cose. Era stata la compagna di uno che, a quei tempi (2006), faceva parte della scorta personale del noto piduista al governo Silvio Berlusconi, l'amerikano

Minerva Valletta, moglie del sig. Bagordo, autista dell'ambasciata italiana

Burundanga

Quando, tempo dopo, mi sono occupato ad apprendere i metodi utilizzati da infami di professione o, solo infami e basta, per estorcere informazioni ad una persona, ho scoperto che in Venezuela viene adoperata una sostanza, la burundanga. Questa droga proveniente dalla Colombia, viene usata, tra l'altro, come siero della verità. Per farla agire è sufficiente aggiungerla, ad esempio, ad una bibita. Anche in Venezuela il suo utilizzo è illegale, ciononostante è risaputo che viene utilizzata. Ne segnala l'utilizzo la guida Lonely Planet, sia quella del Venezuela, sia quella della Colombia. E non è escluso che la si usi anche in Italia, dato che dalla Colombia e dal Venezuela arrivano più note sostanze. Però, va detto: finora nessuna droga ha dimostrato potenzialità ipnotico-anestetiche e maggiore potere di istupidimento della televisione, in particolare quella commerciale...


A questo punto, vorrei spezzare una lancia a favore del Messico. Si parla spesso dei narcos messicani, e finché si fa riferimento al mercato di coca statunitense, il discorso ha un senso. Ma quando si parla dei carichi per il vecchio continente, non si capisce perché la coca debba fare tanti chilometri in più, andando su e giù per l'america centrale (con quello che costano oggi i carburanti, per giunta). Non si fa mai menzione al Venezuela, come se il Paese scomparisse dalle rotte della geografia criminale o da quelle dell'Interpol. E non è chiaro perché: si sa che la coca viene coltivata in Colombia, Hollywood ci ha bombardato di film sull'argomento, ma ci si dimentica di dire che il paese a forte presenza italiana nell'area è il Venezuela (950.000 persone) e che la frontiera di questo paese con la Colombia è estremamente permeabile causa la decennale guerriglia. Logica vuole che la coca europea, gestita dalla 'ndrangheta, parta proprio dal Venezuela, per garantire una logistica appropriata a dei carichi tanto preziosi quanto consistenti, dato il volume d'affari.

Questo spiegherebbe la necessità di un conto cifrato su una banca svizzera, la Credit Suisse, da parte dell'onorata associazione senza scopo di lucro "Agustin Codazzi", associazione di accattoni dediti al riciclaggio, il cui motto è Nulla dies sine linea (da buona tradizione massonica). Tanto per ricordare che le logge infami, come la P2, vanno per la maggiore qui da noi...

mercoledì 15 gennaio 2014

Droga e burundanga | Lonely Planet: che guida!?! | Enrico De Simone e la fidanzata di Carlo Fermi

Droga
La presenza di cocaina colombiana in Venezuela è in aumento. Non solo, il paese è uno dei punti di transito della droga diretta in Europa e negli Stati Uniti. Il numero degli abitanti locali coinvolti nel traffico di stupefacenti è in crescita, così come la corruzione e gli altri crimini connessi a questi affari illeciti. Fortunatamente, non è ancora giunta notizia di turisti ai quali sia stata messa addosso della droga per estorcere loro denaro.
[...] Recentemente si sono verificati casi isolati di turisti drogati con la burundanga, una sostanza stupefacente diffusa e prodotta in Colombia. La burundanga è utilizzata dai ladri per privare le loro vittime di qualsiasi capacità di reazione e ripulirle senza incontrare alcuna resistenza. Essendo inodore e insapore, può essere aggiunta praticamente a ogni sostanza (dolci, sigarette, gomma da masticare, alcolici, birra) e pertanto è estremamente facile da somministrare. In caso di situazioni sospette, pensateci due volte prima di accettare una sigaretta da un estraneo o una bibita da una persona appena conosciuta.
tratto da Lonely Planet Venezuela (ed. italiana - settembre 2001)

Burundanga
Il burundanga è un'altra sostanza che è bene conoscere. Si tratta di una droga ottenuta da un albero molto diffuso in Colombia e usata dai ladri per inibire la capacità di reazione delle proprie vittime. Non avendo un odore o un sapore particolari, può essere aggiunta a caramelle, sigarette, chewing gum, liquori, birra - praticamente a tutti i cibi e le bevande.
L'effetto principale di una dose è quello di azzerare la volontà pur lasciando il soggetto del tutto cosciente. A quel punto il ladro può farsi consegnare qualsiasi oggetto di valore dalla vittima, che obbedirà senza opporre resistenza. Sono agli atti numerosi casi di stupro avvenuti dopo la somministrazione del burundanga. Altri effetti sono perdita di memoria e sonnolenza, che possono durare da alcune ore a qualche giorno. Un'overdose può risultare letale.
Il burundanga non viene usato soltanto a danno dei turisti stranieri: ne sono vittime anche molti colombiani, ai quali in questo modo viene sottratta l'automobile o svaligiata la casa.
Pensateci due volte prima di accettare una sigaretta da un estraneo o una birra da un nuovo 'amico'.
tratto da Lonely Planet Colombia (ed. italiana - marzo 2003)

Minerva Valletta, factotum dell'ass. Agustin Codazzi
Una conoscente mi aveva parlato della burundanga nel 2006 (a Caracas), durante un'uscita con Enrico De Simone.  La tipa in questione era una psicologa ed era anche la fidanzata di un conoscente, Carlo Fermi, un milanese che lavorava a contratto presso l'ambasciata italiana a Caracas. Secondo la fidanzata colombiana di Carlo Fermi, l'utilizzo di questa sostanza era in aumento esponenziale: come terapeuta, si trovava ad affrontare diversi casi di persone che ne erano state vittime, specialmente in merito agli stupri. 
Mi disse, tra l'altro, che la burundanga non lascia tracce e spesso veniva utilizzata soffiandola verso la vittima.
Di questo utilizzo della burundanga, somministrata per inalazione, ho avuto conferma nel 2008, quando sono ritornato a Caracas. I luoghi in cui questa sostanza viene utilizzata più spesso, sono soprattutto i centri telefonici con cabine.
Gianluca Salvati
p.s.  neanche un accenno a questa sostanza nell'attuale edizione italiana della guida Lonely Planet Venezuela; si parla degli inconvenienti molto generici e comuni alle grandi città: il traffico, lo smog, questi si che sono pericoli da evitare !! 

domenica 12 gennaio 2014

La ragazza di Piero Armenti e quei finti sballati degli "hermanitos": una favola moderna a Caracas

Nella prima metà di ottobre del 2005, M mi parlò di una gita a El Junkito, con Piero Armenti, la sua ragazza e il gruppo di amici di quest'ultima: un'insolita accozzaglia di teppistelli dark che lei chiamava affettuosamente "los hermanitos" (i fratellini).
El Junkito si trova su una montagna appena fuori Caracas, credo che il pueblo fosse a più di mille metri d'altezza, infatti lì c'è spesso la nebbia ed è decisamente più fresco che a Caracas. Inoltre, ci sono diversi maneggi, dove si può cavalcare o uscire con i cavalli per fare una passegiata in montagna.
Procedendo su per le montagne si raggiunge Colonia Tovar, ridente paesino fondato nientemeno che da Agustin Codazzi, geografo puttaniere, con una colonia di circa 150 tedeschi. Colonia Tovar è piuttosto rinomata perché anche sulla montagna la foresta rimane rigogliosa e trovi queste casette in stile tirolese. 
Il gruppo di coloni tedeschi aveva la norma di non mescolarsi agli indigeni: i matrimoni misti erano vietati, e lo sono stati fino alla seconda guerra mondiale.
Tornando a M, mi aveva raccontato delle mirabolanti performance della ragazza di Piero Armenti, la quale prima di salire a cavallo si era inciuccata col suo gruppo di finti sballati. Poi era salita a cavallo ed era caduta, planando nel fango: quel giorno, infatti, aveva piovuto. Ma la ragazza di Piero Armenti si era impuntata e voleva per forza risalire a cavallo, così rotolò ancora nel fango. 
La ragazza di Piero Armenti dopo l'ennesimo atterraggio sul fango
Ad un certo punto "los hermanitos" si proposero di portarla ad un fontana per lavarla e toglierle il fango di dosso. Cosa che fecero come durante un rito collettivo: con grande senso di responsabilità.
Il racconto della gita a El Junkito terminò con "los hermanitos" che ripulita a dovere la ragazza di Piero Armenti, ripresero allegramente ad inciuccarsi per poi andare a cercare reperti ossei nel cimitero dei cavalli, da qualche parte nella foresta. 

sabato 11 gennaio 2014

Human Rights Watch: Hugo Chavez di José Miguel Vivanco - Enrico De Simone | Un olio di Enrico Cajati

Cercando sul web gli articoli di un giornalista italiano conosciuto a Caracas, Enrico De Simone, mi sono imbattuto in questo che ho trovato molto interessante:


19 Settembre 2008

Nella serata di giovedì 18 settembre, il governo venezuelano ha decretato l’espulsione dal paese di José Miguel Vivanco, l’avvocato cileno direttore della sezione America latina di Human Rights Watch.

La sua colpa: avere tenuto, nel pomeriggio di quello stesso giorno, una conferenza stampa in cui denunciava come, dal fallito golpe del 2002 ad oggi, la situazione dei diritti umani in Venezuela sia andata deteriorandosi.

Poche ore dopo – come ha raccontato lo stesso ministro degli Esteri venezuelano, Nicolas Maduro – Vivanco e il collaboratore che lo accompagnava venivano accompagnati all’aeroporto, messi su un aereo e espulsi dal paese, con la proibizione di tornarci in futuro. Vivanco – recita un comunicato governativo firmato da Maduro e dal suo collega degli Interni, Tarek El Aissami – “ha violentato la Costituzione e le leggi della Repubblica Bolivariana del Venezuela, aggredendo le istituzioni della democrazia venezuelana e immischiandosi illegalmente negli interessi del paese”. Maduro ha poi dichiarato che il direttore di HRW (Human Rights Watch) ha contravvenuto alle norme che regolano il transito attraverso il Venezuela di cittadini stranieri in condizione di turista, presentando “in maniera abusiva e volgare” una conferenza stampa “dove ha vilipeso le istituzioni della democrazia venezuelana, dove ha ferito la dignità delle nostre istituzioni, del nostro popolo, della nostra democrazia”. L'“aggressione” di HRW “risponde – continua la nota – a interessi vincolati e finanziati dal governo degli Stati Uniti d’America, che dietro la maschera di difensori dei diritti umani dispiegano una strategia di aggressione inaccettabile per il nostro popolo”. Per rendere ancor più chiaro quest’ultimo concetto, Maduro ha dichiarato: “Sono sicuro che dietro questa imboscata mediatica ci sono quelli di sempre, i padroni dei mezzi di comunicazione legati agli interessi dell’impero e quei gruppetti che, proclamandosi difensori dei diritti umani, ricevono soldi da Washington”.

Enrico De Simone, L'Occidentale


Enrico De Simone La Voce d'Italia (Caracas) - L'Occidentale, Roma


L'articolo è molto più lungo e argomentativo, ma la vicenda in sé ha molti spunti di riflessione.

Dal mio modesto osservatorio, di chi ha vissuto per quasi 2 anni a Caracas e si è trovato spesso a lottare per i propri diritti, l'occasione non poteva essere più ghiotta. Ho letto il rapporto di José Miguel Vivanco, direttore della sezione per l'America latina di HRW, sgradito al regime di Hugo Chavéz Questa denuncia è un'accozzaglia di luoghi comuni e di falsità in linea col metodo fascista adoperato dal Vivanco per declamare le sue “verità”. Per non parlare dell'effetto focalizzazione magicamente creato da una (finta) pluralità di mezzi di comunicazione (il cosiddetto soft power), radio, tv e giornali.

Qualche mese prima che Enrico De Simone giungesse a Caracas, avevo domandato ad una rappresentante del Ministero degli Esteri (italiano): “il diritto non è cultura ?” (Auditorium della scuola “Agustin Codazzi” - 10/03/2005). La funzionaria che aveva appena esposto le linee guida del suo ministero, mi aveva candidamente risposto: “No, il diritto non è cultura.” 

Fax Art - Caracas, marzo 2006 - Gianluca Salvati


La platea accolse silenziosamente l'asserzione.

La mia domanda era necessariamente provocatoria, ma la risposta era da medio evo, se non peggio, da età della pietra Chissà cosa avrebbe risposto il signor Vivanco a quell'affermazione. Come se non bastasse, i rappresentanti istituzionali si proclamarono impotenti rispetto a quei delinquenti in grisaglia della giunta del Codazzi, nonostante il ministero elargisse un lauto assegno ogni anno al Codazzi.

Come ho già scritto eravamo senza contratto (a tempo determinato). Io avevo rischiato la pelle per un avvelenamento, che a quei tempi (ero ancora ingenuo) pensavo fosse stato un accidente. 



Eppure, non potevamo accampare diritti, mentre quei signori venuti da Roma, dovevano dirci cosa fare in classe dato che avevano regalato la paritarietà a quella scuola.

Il giorno dopo mi assentai, avevo una reazione di schifo verso quella gente.

Che strumenti avevo per far valere i miei diritti?

Qualcuno nel mondo ha inventato le associazioni per i diritti umani, tipo questa di Human Rights Watch, non so esattamente cosa siano né come operino, ma verrebbe automatico rivolgersi a loro. Mi pare di aver capito che, rispetto alle questioni, si pongano in questo modo: “dato che noi siamo più civili (e di certo migliori) di voi, queste sono le giuste ricette per elevarvi dal vostro stato di abiezione al nostro di onniscienza...”

Alla tv si parla spesso di loro, specie se di matrice yankee e non governativa, che oggi fa tanto figo... Immagino che costoro abbiano avuto un bel da fare in America latina, con tutti quei dittatori...

Come alternativa colta alle associazioni per i diritti umani, c'è la possibilità di rivolgersi ai tribunali di giustizia. Già, i tribunali del Venezuela, il rapporto di Human Rights Watch li descrive come asserviti alla politica. Sarà per questo che non ho mai sentito Chavéz scagliarsi contro i giudici e le loro sentenze ?

Hugo Chavez, el comandante


Ero assetato di vendetta, decisi per la seconda opzione. Feci causa a quegli idioti infami dell'onorata associazione delinquenziale “A. Codazzi” di Caracas e, nel giro di un paio di anni ho avuto giustizia, quella stessa giustizia che, a detta degli eminenti funzionari della Farnesina, nota istituzione ex-prestigiosa del mio democratico paese, avrei dovuto attendere in un'altra vita...




 

Tornando alla causa civile contro quei venduti del Codazzi (degni figli di infami taglia-gole), mi ha sconvolto la brevità dei tempi: appena due anni. In Italia, nella progredita Italia, quei tempi ce li sogniamo. Ma anche questo non è casuale. La colpa di ciò è da ascriversi unicamente alla cattiva politica troppo spesso parente stretta dell'illegalità diffusa e del crimine organizzato.

La verità e che qui si predilige l'impunità a scapito della legalità.

Per tutti questi motivi quel rapporto HRW mi è parso particolarmente falso e pretestuoso: una vera merdata.

Qualcuno potrebbe obiettare che la mia è un'esperienza unica. Errato.  Negli anni 2006-2007, quei gaglioffi dell'associazione senza scopo di lucro con conto cifrato su banca svizzera (Credìt Suisse – sede di Lugano), hanno collezionato ben 4 cause da parte di insegnanti italiani, tutte puntualmente perse dal Codazzi. 


Cause che, con un po' di buona volontà avrebbero potuto essere molte di più...

Gianluca Salvati




Per chi voglia chiarirsi le idee sulle violazioni dei diritti umani in America latina e sulle effettive responsabilità, rimando alla raccolta di articoli di R. Kapuscinski, Cristo con il fucile in spalla (ed. Feltrinelli).


Enrico Cajati,  olio su tela

lunedì 6 gennaio 2014

Caracas Ambasciata italiana: PERSONA NON GRADITA | Antonio Nazzaro, Andrea Dorado, Kyong Mazzaro

Caracas 29/08/2008 - Non erano neanche le 8 di mattina, ma non volendo passare per l'hotel, mi recai direttamente all'ambasciata. Diciamo che, grazie ad Antonio Nazzaro, a quella serpe di Kyong Mazzaro e al fascistello Andrea Dorado, avevo cominciato a farmi un'idea delle persone, per lo più italiani, che conoscevo dal 2005. Il quadro che ne veniva fuori non era affatto edificante: avevo cominciato a capire diverse situazioni strane che mi erano capitate in passato. Tipo l'aggressione in Plaza Chacaito, dopo una pizza con Enrico De SImone & company.

El chaman, disegno su carta - Gianluca Salvati 2005

Conoscevo la zona in cui si trovava l'ambasciata, ma non l'edificio poiché non c'ero mai stato, così chiesi informazioni per strada.
Giù all'ingresso controllarono il passaporto, fui registrato e salii. All'ultimo piano, dove c'è l'ambasciata italiana, non c'era un anima. Parlai col carabiniere che era all'interno di una guardiola e teneva la cornetta del telefono all'orecchio. Mi disse di attendere.

Alla sinistra dell'ambasciata italiana, c'è l'ambasciata del Sudafrica, in quel momento erano presenti 3 o 4 dipendenti. Il carabiniere continuava a parlare al telefono. Ad un certo punto si presentò un'impiegata venezuelana. Mi accodai a lei per entrare. Il sottufficiale mi gridò che non potevo entrare: dovevo rimanere fuori. Attesi ancora, mentre la conversazione telefonica del carabiniere proseguiva intensa. Chissà con chi stava parlando. Forse qualche personcina di mia conoscenza... tipo quella capra fascista di Anna Grazia Greco, una mafiosa nella Pubblica Amministrazione...

Quando ne ebbi abbastanza, mi avvicinai al vetro per sollecitare una risposta. Il carabiniere, evidentemente, non aspettava altro. Lo vidi spingersi in avanti: anche se non vedevo le sue mani, immaginai che avesse premuto qualche pulsante. In pochi attimi, dal lato opposto del pianerottolo, sbucò un energumeno di militare venezuelano: armato, corazzato e nervoso. Non mi lasciai impressionare, avevo comunque dei testimoni... ma non feci in tempo a feci in tempo a formulare questo pensiero che i dipendenti dell'ambasciata sudafricana, uno ad uno, andarono silenziosamente via, nelle stanze interne della loro istituzione, lasciando sedie e sportelli vuoti. "Che gioco è questo?", mi dissi. Per evitare malintesi tirai fuori il passaporto e rimasi con le mani in vista.

Il militare si avvicinò alla guardiola del carabiniere con una busta gialla da lettera, formato A4 o giù di lì, domandando se la doveva consegnare. La risposta era che quella busta non andava consegnata, ma pareva che i due militi stentassero a intendersi. Seguii quella pantomima tranquillamente. Il carabiniere sudava freddo. L'altro sembrava molto a suo agio. Il balletto andò avanti per un po', dopodiché il militare venezuelano sparì da dove era venuto. La lettera non era stata consegnata.

Mi riavvicinai alla guardiola del carabiniere per chiedere quando potevo entrare. Il benemerito mi gridò, più isterico di prima, che l'ambasciata si occupa di questioni politiche e non di cose private (questa l'avevo già sentita). Dopo questa lezione di alta diplomazia, me ne andai piuttosto frustrato. Quando arrivò l'ascensore, incrociai un uomo distinto, capelli e baffi bianchi, certamente italiano. Salutai, in italiano. Cordialmente mi rispose. Solo dopo, quando scesi, realizzai che quel signore doveva essere l'ambasciatore e che il balletto precedente era terminato proprio in virtù del suo arrivo. 

Sul lago, disegno a penna - Gianluca Salvati
In seguito
Una volta a Como, ho scoperto che mi era scomparso l'attestato di lavoro della scuola "Agustin Codazzi" (2004/2005), firmato da Anna Grazia Greco e col timbro del consolato. Inoltre, si era volatilizzata la radiografia panoramica dei miei denti.
Il 19/09/2008 mio fratello mi aveva chiamato dalla Spagna sul mio cellulare. Il mio telefonino squillava, anche se era spento da circa un mese, avendolo lasciato a Como.

Tempo dopo, parlando di questa esperienza con un amico, mi sentii rispondere: "...credevano che tu fossi un terrorista...". Gli gridai che quella gente di me conosceva "vita, morte e miracoli..." e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Quelle accozzaglie di spioni che sono le sedi diplomatiche, sapevano chi ero ben prima che mettesi il naso fuori dall'Italia. Ragionandoci, il mio amico dovette ammettere che la mia analisi era corretta.

Sono certo che in quell'Ambasciata avessero tutte le informazioni utili sul mio conto. Lo posso affermare con sicurezza perché:
  1. Nel Maggio 2005 avevo ricevuto l'invito personale per una cena all'Ambasciata italiana (invito che declinai)
  2. Nell'anno scolastico 2004/05 c'era tra i miei alunni il figlio di un carabiniere dell'Ambasciata italiana
  3. Alla scuola Codazzi erano iscritti entrambi i figli dell'ambasciatore di allora
  4. Per la partecipazione al Premio Italia, avevo dovuto presentare copia del curriculum artistico (due partecipazioni, due curriculum)
  5. Volente o nolente la cerchia di colleghi italiani che frequentavo era assortita da personaggi del sottobosco diplomatico, sia del consolato, sia dell'ambasciata, i vari: Piero Armenti, Enrico De Simone, Carlo Fermi e Antonio Nazzaro
  6. Infine, ma non secondario, c'è il marito di Minerva Valletta, il signor Bagordo, autista, anch'egli dipendente dell'ambasciata italiana di Caracas
Per questo affermo che da quelle parti avessero materiale a sufficienza su di me per scrivere un libro. L'unica novità di quel 2008 rispetto al 2006 consisteva nell'aver vinto la causa contro quegli assassini legali del Codazzi. Questa era la piaga che avevo toccato con la mia denuncia, scoperchiando il fatto che quella gente si è dimostrata in malafede fin da subito. Quelli del Codazzi e i loro affiliati sono stati degli infami sin da prima che mi conoscessero: questa è l'unica verità che è venuta fuori, tutto il resto è volgarissimo insabbiamento, fatto per lo più da gente abituata a maneggiare balle ed a strumentalizzare le circostanze coi peggiori sotterfugi.