Caracas 29/08/2008 - Non erano neanche
le 8 di mattina, ma non volendo passare per l'hotel, mi recai
direttamente all'ambasciata. Diciamo che, grazie ad Antonio Nazzaro, a
quella serpe di Kyong Mazzaro e al fascistello Andrea Dorado,
avevo cominciato a farmi un'idea delle persone, per lo più italiani, che
conoscevo dal 2005. Il quadro che ne veniva fuori non era affatto
edificante: avevo cominciato a capire diverse situazioni strane che mi erano capitate in passato. Tipo l'aggressione in Plaza Chacaito, dopo una pizza con Enrico De SImone & company.
Conoscevo la zona
in cui si trovava l'ambasciata, ma non l'edificio poiché non c'ero mai
stato, così chiesi informazioni per strada.
Giù all'ingresso
controllarono il passaporto, fui registrato e salii. All'ultimo piano,
dove c'è l'ambasciata italiana, non c'era un anima. Parlai col
carabiniere che era all'interno di una guardiola e teneva la cornetta
del telefono all'orecchio. Mi disse di attendere.
Alla sinistra
dell'ambasciata italiana, c'è l'ambasciata del Sudafrica, in quel
momento erano presenti 3 o 4 dipendenti. Il carabiniere continuava a
parlare al telefono. Ad un certo punto si presentò un'impiegata
venezuelana. Mi accodai a lei per entrare. Il sottufficiale mi gridò che
non potevo entrare: dovevo rimanere fuori. Attesi ancora, mentre la
conversazione telefonica del carabiniere proseguiva intensa. Chissà con
chi stava parlando. Forse qualche personcina di mia conoscenza... tipo quella capra fascista di Anna Grazia Greco, una mafiosa nella Pubblica Amministrazione...
Quando
ne ebbi abbastanza, mi avvicinai al vetro per sollecitare una risposta.
Il carabiniere, evidentemente, non aspettava altro. Lo vidi spingersi
in avanti: anche se non vedevo le sue mani, immaginai che avesse premuto
qualche pulsante. In pochi attimi, dal lato opposto del pianerottolo,
sbucò un energumeno di militare venezuelano: armato, corazzato e
nervoso. Non mi lasciai impressionare, avevo comunque dei testimoni...
ma non feci in tempo a feci in tempo a formulare questo pensiero che i
dipendenti dell'ambasciata sudafricana, uno ad uno, andarono
silenziosamente via, nelle stanze interne della loro istituzione,
lasciando sedie e sportelli vuoti. "Che gioco è questo?", mi dissi. Per
evitare malintesi tirai fuori il passaporto e rimasi con le mani in
vista.
Il militare si
avvicinò alla guardiola del carabiniere con una busta gialla da lettera,
formato A4 o giù di lì, domandando se la doveva consegnare. La risposta
era che quella busta non andava consegnata, ma pareva che i due militi
stentassero a intendersi. Seguii quella pantomima tranquillamente. Il
carabiniere sudava freddo. L'altro sembrava molto a suo agio. Il balletto andò avanti per un po', dopodiché il militare venezuelano sparì da dove era venuto. La lettera non era stata consegnata.
Mi riavvicinai alla guardiola del carabiniere per chiedere quando potevo entrare. Il benemerito
mi gridò, più isterico di prima, che l'ambasciata si occupa di
questioni politiche e non di cose private (questa l'avevo già sentita).
Dopo questa lezione di alta diplomazia, me ne andai piuttosto frustrato.
Quando arrivò l'ascensore, incrociai un uomo distinto, capelli e baffi
bianchi, certamente italiano. Salutai, in italiano. Cordialmente mi
rispose. Solo dopo, quando scesi, realizzai che quel signore doveva
essere l'ambasciatore e che il balletto precedente era terminato proprio in virtù del suo arrivo.
In seguito
Una volta a Como,
ho scoperto che mi era scomparso l'attestato di lavoro della scuola
"Agustin Codazzi" (2004/2005), firmato da Anna Grazia Greco e col timbro
del consolato. Inoltre, si era volatilizzata la radiografia panoramica dei miei denti.
Il 19/09/2008 mio
fratello mi aveva chiamato dalla Spagna sul mio cellulare. Il mio
telefonino squillava, anche se era spento da circa un mese, avendolo
lasciato a Como.
Tempo dopo, parlando di questa esperienza con un amico, mi sentii rispondere: "...credevano che tu fossi un terrorista...". Gli gridai che quella gente di me conosceva "vita, morte e miracoli..."
e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Quelle accozzaglie di
spioni che sono le sedi diplomatiche, sapevano chi ero ben prima che
mettesi il naso fuori dall'Italia. Ragionandoci, il mio amico dovette
ammettere che la mia analisi era corretta.
Sono certo che in quell'Ambasciata
avessero tutte le informazioni utili sul mio conto. Lo posso
affermare con sicurezza perché:
Nel Maggio 2005 avevo ricevuto
l'invito personale per una cena all'Ambasciata italiana (invito che declinai)
Nell'anno scolastico 2004/05 c'era
tra i miei alunni il figlio di un carabiniere dell'Ambasciata italiana
Alla scuola Codazzi erano iscritti
entrambi i figli dell'ambasciatore di allora
Per la partecipazione al Premio
Italia, avevo dovuto presentare copia del curriculum artistico (due
partecipazioni, due curriculum)
Volente o nolente la cerchia di
colleghi italiani che frequentavo era assortita da personaggi del
sottobosco diplomatico, sia del consolato, sia dell'ambasciata, i vari:
Piero Armenti, Enrico De Simone, Carlo Fermi e Antonio Nazzaro
Infine,
ma non secondario, c'è il marito di Minerva Valletta, il signor Bagordo, autista, anch'egli dipendente dell'ambasciata italiana di Caracas
Per questo affermo che da quelle parti
avessero materiale a sufficienza su di me per scrivere un libro.
L'unica novità di quel 2008 rispetto al 2006 consisteva nell'aver
vinto la causa contro quegli assassini legali del Codazzi.
Questa era la piaga che avevo toccato con la mia denuncia,
scoperchiando il fatto che quella gente si è dimostrata in malafede
fin da subito. Quelli del Codazzi e i loro affiliati sono stati degli infami sin da prima che mi conoscessero: questa è l'unica
verità che è venuta fuori, tutto il resto è volgarissimo
insabbiamento, fatto per lo più da gente abituata a maneggiare balle ed a
strumentalizzare le circostanze coi peggiori sotterfugi.
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