CARACAS 29 marzo 2006
– Il corpo senza vita di Filippo Sindoni, l’industriale aragueño rapito
a Maracay nella serata di martedì da due falsi poliziotti, è stato
ritrovato nel tardo pomeriggio di ieri nel settore Los Arenales del
municipio Torbes, nello stato Lara, abbandonato sul ciglio della strada
che unisce Barquisimeto e Carora. Presentava due ferite d’arma da fuoco.
La notizia è stata confermata ufficialmente dal commissario capo del
Cicpc Lisandro Zapata. Al momento, ha detto Zapata, si indaga a 360
gradi, senza escludere alcun movente: sequestro, delitto su commissione,
vendetta. Un testimone, ha aggiunto, sta collaborando con gli
investigatori.
Si
è chiusa così nel peggiore dei modi una vicenda iniziata nella serata
di martedì, quando verso le otto di sera Filippo Sindoni, cavaliere del
lavoro della Repubblica italiana e stella di primo piano del panorama
imprenditoriale venezolano, veniva rapito fermandosi a un falso posto di
blocco. Due uomini travestiti da poliziotti lo portavano via, dopo aver
stordito con un colpo alla testa e poi abbandonato il suo
autista-guardia del corpo.
Ieri
mattina, in una riunione tra familiari e amici dell’imprenditore, si
stabiliva la linea da seguire: riserbo assoluto su quanto accaduto, nel
solco di quanto fatto da altre famiglie colpiti dalla piaga dei
sequestri di persona. Solo che, in questo caso, non è affatto detto che
si sia trattato di un sequestro a scopo di estorsione, come già
sottolineato dal commissario Zapata. L’unica cosa certa è che, una volta
di più, brilla l’insicurezza in cui è sprofondato il Venezuela. Venire
rapiti a un posto di blocco della polizia o supposto tale è già
accaduto, lo scorso 23 febbraio, a Caracas, ai fratelli Faddul, tre
giovani (12, 13 e 17 anni di età) di origine libanese. E sono stati
uomini vestiti da poliziotto a rapire, lo scorso novembre a Ciudad
Bolívar, l’italovenezolana Paola Fiorella Carlesi D’Amico, liberata dopo
21 giorni passati in una prigione che non era altro che un buco scavato
nella terra. Resta poi tutto da definire il ruolo avuto da elementi
della polizia dello Zulia nel sequestro e uccisione di Rosina Di Brino,
la 22enne italovenezolana trovata cadavere nel Lago di Maracaibo il 22
febbraio.
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Filippo Sindoni |
Ieri
mattina abbiamo parlato con rappresentanti dell’ambasciata italiana,
mobilitata in tutti i suoi organismi per l’improvvisa crisi costituita
dal rapimento di “un grandissimo personaggio non solo della comunità
italiana, ma di tutta la realtà venezolana”, per citare le stesse fonti
diplomatiche. L’ambasciata si era premurata persino di avvertire il
presidente Hugo Chávez, che certo era informato del fatto; in ogni caso
una cortesia dovuta, visto che Chávez e Sindoni erano amici sin da
quando quello che poi sarebbe diventato il “Primer Mandatario” era un
ufficiale dell’esercito di stanza a Maracay. In merito alle indagini le
bocche erano assolutamente cucite, una cosa però è trapelata:
l’intenzione di organizzare un incontro con il ministro degli Interni,
Jesse Chacón, proprio per affrontare la questione dei sequestri e, più
in generale, dell’ordine pubblico. Oggi più di ieri, crediamo che ce ne sia proprio bisogno.
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